Le Fonderie riunite di Modena

Viale Ciro Menotti, 548

Nella storia dell’industria modenese nessuna fabbrica ha vissuto il livello di scontro, anche simbolico, tra imprenditori e lavoratori come alle Fonderie riunite, fino al punto più alto dell’eccidio di sei operai il 9 gennaio 1950. Successivamente, l’impegno per evitare la sua chiusura ha coinvolto in modo originale lavoratori, sindacati, ente locale, cooperazione.

Nata nel 1938 nel quartiere Crocetta per la produzione di ghisa, per iniziativa della famiglia Orsi già proprietaria delle Acciaierie ferriere e di lì a poco anche delle officine Maserati, l’azienda passa in tre anni da 83 a 320 addetti, per arrivare a oltre 500 dipendenti nel 1948.

Dopo la liberazione la fabbrica diventa luogo aggregativo per il quartiere e nella sua sala riunioni si svolgono iniziative dei partiti e feste popolari. Il controllo della fabbrica da parte della direzione aziendale è difficile: su 562 dipendenti 550 sono iscritti alla Fiom-Cgil, 370 sono gli iscritti al Partito comunista, organizzati in nove cellule, e un centinaio di operai hanno un passato di ex partigiani.

Nel 1947 inizia la controffensiva da parte della proprietà, con licenziamenti, serrate, rottura degli accordi sindacali, fino al drammatico gennaio 1950. Dopo questo evento la proprietà viene passata al gruppo Cremonini, ma non cessano le persecuzioni verso i lavoratori attivi nel sindacato. Poi, nel 1952, rientra la famiglia Orsi, ma le tensioni sono tali che nel 1954 il Comune di Modena realizza un’inchiesta sulle condizioni di lavoro dentro le Fonderie di Modena.

All’ennesima situazione di crisi la proprietà passa alla Bompani, che però intende liquidare l’azienda. Nel 1966 la fabbrica è occupata dagli operai per 52 giorni, poi passa in amministrazione controllata e viene gestita direttamente dai lavoratori. Dopo la crisi del 1971 il Comune di Modena si fa garante presso le banche affinché gli operai possano diventare proprietari dell’azienda, che nel 1972 si trasforma in cooperativa. Nel 1982 è assorbita dalla Coop fonditori e cessa l’attività produttiva nello stabilimento di Ciro Menotti.

L’edificio non viene demolito e la palazzina è vincolata dal Comune di Modena come luogo simbolico della città. Sul finire del secolo si ipotizza il suo utilizzo come sede di servizi sanitari, nel 2008 un percorso partecipativo ipotizza diverse funzioni attraverso il suo recupero, ma solo nel 2020 inizia il recupero della palazzina, destinata a sede dell’Istituto storico di Modena, e del corpo di fabbrica per realizzarvi attività legate alla mobilità sostenibile.

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