1944
Il macabro teatro della rappresaglia
L’uccisione di Alfonso Piazza, Emilio Po e Giacomo Ulivi
Dopo l’uccisione di quattro fascisti a Soliera, il 10 novembre 1944 il comando della Gnr, la Guardia nazionale repubblicana, decide di fucilare Emilio Po, artificiere della Brigata partigiana Walter Tabacchi, Alfonso Piazza, sottoufficiale dell’aeronautica che dopo l’8 settembre aveva aderito alla Resistenza, e Giacomo Ulivi, uno studente universitario di Parma arrestato più volte per attività antifascista.
Emilio Po era stato fermato dai militi dell’Upi (Ufficio politico investigativo) mentre si recava nel laboratorio di esplosivi della brigata. Convinti di aver messo le mani su un esponente importante della Resistenza, i fascisti lo torturano brutalmente, fino a cospargerlo di benzina e ustionarlo. Alfonso Piazza proveniva da Agrigento ed era stato fermato qualche tempo prima perché trovato in possesso di armi e documenti falsi; mentre Giacomo Ulivi era un simpatizzante del Partito d’azione.
Questa rappresaglia rientra nella logica di violenza adottata dal fascismo modenese per fiaccare i partigiani e per minacciare la popolazione, ma è il simbolo di un mutamento nella sua strategia, perché, esasperando l’uso della violenza e della tortura sui prigionieri evidenzia la volontà di andare verso la radicalizzazione dello scontro con i partigiani. Come in un’esibizione teatrale, infatti, i tre condannati vengono caricati su un camioncino che parte dall’Accademia e li conduce lentamente verso Piazza Grande, accompagnato da giovani toscani del reparto controguerriglia (fuggiti dalla loro regione già occupata dagli Alleati), che intonano inni fascisti.
I tre giovani vengono allineati al muro del Palazzo vescovile e fucilati, davanti agli occhi dei passanti e della sorella e del padre di Emilio Po. La rappresaglia, per le brutali modalità in cui è perpetrata, scuote profondamente la cittadinanza e scatena una dura presa di posizione nel Cln provinciale, che condanna a morte i responsabili di tali azioni e tenta di fermare la spirale di violenza. Se le autorità amministrative cominciano ad avvicinarsi alle organizzazioni partigiane, i comandi militari fascisti però perseverano nella repressione e nell’uso della tortura sui prigionieri.