1920

Quando non si poteva protestare

L’Eccidio di Piazza Grande

Il 7 aprile 1920 nel primo dei quattro giorni di sciopero proclamati dalle due Camere del Lavoro (quella Sindacalista e quella Socialista) per protestare contro l’uccisione a San Matteo della Decima (Sam Giovanni in Persiceto, Bologna) di otto lavoratori e dell’oratore Sigismondo Campagnoli e il ferimento di altri 45 durante una manifestazione a sostegno di una vertenza agraria - i lavoratori modenesi si radunarono in piazza Grande dove la forza pubblica aprì il fuoco, uccidendo quattro persone e provocando la morte di una quinta a seguito delle ferite riportate.

Le cronache raccontano di un’adesione totale allo sciopero, negozi chiusi, fabbriche, treni inattivi, mancanza di gas e elettricità e di una prima manifestazione, la mattina di quel 7 aprile in largo Garibaldi, senza incidenti. Al pomeriggio, alle ore 17.30, un altro comizio a causa della cospicua partecipazione dei lavoratori (i giornali locali parlano di 15.000 persone) deve essere spostato da piazza delle Scalze (oggi piazzale Boschetti) in piazza Grande ed è lì, vicino allo scalone del Municipio, che avviene la strage.

La folla esasperata dall’ingente presidio delle forze di polizia e dell’esercito e dal negato permesso a svolgere il comizio dal balcone del Municipio spinge i carabinieri sotto i portici. Il capitano Gamucci ordina di arrestare la folla e di prelevare la bandiera, ma improvvisamente iniziano gli spari. Il bilancio dell’eccidio è drastico. I morti sono Evaristo Rastelli, Antonio Amici, Linda Leoni, Ferdinando Gatti e Stella Zanetti, mentre i feriti sono circa una trentina. Lo sciopero generale e il lutto cittadino proseguono nei giorni seguenti concludendosi con i funerali delle vittime.

Una targa a ricordo delle vittime è stata posta ai piedi dello scalone del Palazzo comunale nel 2016.

L’episodio si inquadra in una fase tragica della storia nazionale, fra la fine della Grande Guerra e l’avvento del Fascismo, segnata da dure lotte per il lavoro, da violente repressioni di esercito e forze dell'ordine, da pesanti divisioni e scontri, anche violenti, fra le stesse forze popolari e dalla nascente, crescente violenza fascista, via via sempre più tollerata, quando non agevolata, da alcuni settori dello Stato, che va sotto il nome di ‘Biennio rosso’.

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