1947

Contro gli imperi coloniali

Gandhi e l’indipendenza dell’India

La figura che meglio rappresenta il processo di indipendenza dell’India è senza dubbio Mohandas Karamchand Gandhi, detto Mahatma (la “grande anima”). Conclusi gli studi universitari di diritto a Londra, Gandhi si trasferisce nel 1893 in Sudafrica, dove difende la minoranza indiana contro le vessazioni del governo, quindi nel 1915 rientra in India, battendosi per l’indipendenza del Paese dall’impero britannico attraverso la pratica del ‘satyagraha’, ovvero della lotta nonviolenta. Nel programma di Gandhi, la ricerca di risultati politici è infatti strettamente legata al perfezionamento interiore del singolo, alla sua capacità di governare le proprie passioni. Tale peculiare forma di lotta si esplica in una serie di azioni, dal valore sia simbolico sia concreto: dalla campagna contro i Rowlatt Acts, che prevedono il mantenimento della legislazione di guerra anche in tempo di pace, alla non cooperazione, vale a dire il boicottaggio delle istituzioni e dei prodotti inglesi, fino alla “marcia del sale”. Azioni che costano a Gandhi due arresti. L’indipendenza è, non senza fatica, raggiunta il 15 agosto 1947, con la formazione di uno stato a maggioranza indù, l’India appunto, e uno a maggioranza musulmana, il Pakistan. Un passo decisivo verso lo sgretolamento degli imperi coloniali europei, anche se la spartizione territoriale sarà fonte di gravi e tragici conflitti nei decenni successivi. A farne le spese sarà lo stesso Gandhi, assassinato alla fine di gennaio 1948 da un fanatico indù.

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