1986

«La morte ebbe facce nuove»

L’incidente della centrale nucleare di Černobyl

«Lo scoppio vero e proprio non l’ho visto. Solo fiamme. Era tutto illuminato… Tutto il cielo… Le fiamme alte. La fuliggine che ricadeva. Un calore terribile. E lui che non arrivava». Così Ljudmila Ignatenko, moglie di un vigile del fuoco, racconta ciò che avviene la notte del 26 aprile 1986, quando esplode il reattore numero 4 della centrale nucleare di Černobyl, città che oggi si trova in territorio ucraino. Con numerose altre, la sua testimonianza è stata raccolta dalla scrittrice russa Svetlana Aleksievič, premio Nobel per la letteratura nel 2015 nel libro Preghiera perČernobyl,pubblicato nel 1997 e tradotto in italiano per le Edizioni e/o. L’incidente, forse dovuto a un errore nelle procedure di sicurezza della centrale, provoca la morte di una trentina di persone e causa l’emissione di una gigantesca nube radioattiva, che si diffonde per gran parte d’Europa. Sul lungo periodo il disastro ha inciso sulla diffusione di tumori (soprattutto alla tiroide), leucemie e malformazioni genetiche e ha determinato la contaminazione della flora e della fauna, finendo con lo sconvolgere gli equilibri di un intero ecosistema. Insieme all’incidente della centrale giapponese di Fukushima dell’11 marzo 2011, Černobyl è considerato il più grave disastro nucleare della storia e, come ha scritto Aleksievič, segna uno spartiacque decisivo: «Cambiò il mondo. Cambiò il nemico. La morte ebbe facce nuove che non conoscevamo ancora. Non si vedeva, la morte, non si toccava, non aveva odore».

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