1995
Un genocidio annunciato
Più di 8000 bosniaci musulmani le vittime dell’eccidio di Srebrenica
Srebrenica, antica cittadina mineraria della Bosnia orientale, vicino al confine con la Serbia, è stata teatro di uno dei più gravi massacri avvenuti durante la fase bosniaca della guerra che porta alla dissoluzione della Federazione iugoslava. Nel marzo 1993, le forze serbe lanciano un’offensiva contro Srebrenica, abitata in maggioranza da musulmani bosniaci. Le gravi condizioni della città assediata portano l’ONU a dichiararla area protetta con la Risoluzione 819 del 16 aprile 1993. Un contingente di caschi blu viene inviato per presidiare la città, ma nel luglio 1995, le truppe serbo-bosniache, guidate dal generale Ratko Mladić e supportate da paramilitari serbi, attaccano e conquistano Srebrenica. I caschi blu olandesi, costretti alla resa, si ritirano a Potočari, seguiti da 20-25.000 civili in fuga. Il 12 luglio i serbi entrano nella base ONU e richiedono la consegna delle armi. Mladić garantisce un trasferimento sicuro per tutti i civili, ma separa i maschi tra i 13 e i 70 anni con la motivazione ufficiale di interrogarli, in realtà li conduce in edifici vicini dove vengono giustiziati. Entro una settimana, 23.000 donne e bambini sono deportati, mentre centinaia di uomini sono uccisi o trasferiti altrove per essere poi fucilati. I loro corpi sono sepolti in fosse comuni. Ancora oggi, le ricerche dei dispersi continuano. Ogni anno, l’11 luglio, al Memoriale di Potočari si commemorano le vittime di quello che è riconosciuto come il genocidio più grave avvenuto in Europa dopo la Seconda guerra mondiale.