1992

«La mafia non è affatto invincibile»

Falcone, Borsellino e le stragi di mafia del 1992

Dopo aver coordinato con Paolo Borsellino il pool antimafia che ha condotto al maxiprocesso contro Cosa nostra, dal 1991 Giovanni Falcone è direttore degli affari penali del Ministero della Giustizia. Il 23 maggio 1992 sta rientrando da Roma quando, sull’autostrada che dall’aeroporto di Punta Raisi porta a Palermo, all’altezza di Capaci, scoppia una potentissima bomba: Falcone, sua moglie Francesca Morvillo, anch’ella magistrata, e tre agenti della scorta rimangono uccisi. Meno di due mesi dopo, Borsellino e cinque poliziotti della scorta muoiono in un altro attentato dinamitardo in via D’Amelio, sempre a Palermo: è il 19 luglio 1992. Tra la tarda primavera e l’estate dell’anno di “Tangentopoli”, la mafia reagisce alla ridefinizione dei metodi investigativi e a questa rivoluzione nella lotta alle organizzazioni criminali che ne ha portato allo scoperto i meccanismi di funzionamento, uccidendo i due magistrati attori di primo piano nel processo di rinnovamento del sistema della giustizia italiana.

Gli omicidi e gli attentati mafiosi proseguono per il resto dell’anno e anche in quello successivo: nel 1993 esplodono bombe in via dei Georgofili a Firenze e in via Palestro a Milano, causando la morte di dieci persone. Di fronte alla strategia della tensione della mafia, si distingue l’impegno civile di due giovani donne. Durante i funerali per la strage di Capaci, Rosaria Costa, moglie di Vito Schifani, uno degli agenti della scorta di Falcone, pronuncia un atto di accusa verso carnefici e complici. La ventiquattrenne Emanuela Loi, agente della scorta di Borsellino, è invece la prima donna della polizia italiana ad essere assassinata in servizio.

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