1991
«Il mio capo è sanguinante, ma indomito»
Nelson Mandela e la fine dell’apartheid in Sudafrica
Il cammino verso il riconoscimento dei diritti e la libertà è spesso lungo, tortuoso e pieno di asperità. La vita e l’opera di Nelson Mandela sono lì a testimoniarlo. Nell’aprile 1961 Mandela, dirigente dell’African National Congress, viene imprigionato e condannato all’ergastolo. Sconterà 27 anni di prigionia, prima nel carcere di massima sicurezza di Robben Island, dove è costretto a vivere in condizioni miserevoli e anche ai lavori forzati, quindi a Poolsmore, nei dintorni di Pretoria. Negli anni di detenzione, Mandela trova conforto in una poesia dell’inglese William Ernest Henley, dal titolo Invictus. Uno dei versi di quel componimento recita: My head is bloody, but unbowed (Il mio capo è sanguinante, ma indomito). Mandela era accusato di essersi battuto, anche ricorrendo a metodi violenti, contro l’apartheid, il sistema di segregazione e discriminazione razziale contro la popolazione “black”, “coloured” e “indian”, imposto in Sudafrica dal governo del National Party, espressione della minoranza afrikaner, fin dalla sua ascesa al potere nel 1948. Grazie alle pressioni internazionali e al processo di riforme avviato dal presidente sudafricano di origini afrikaner Frederik Willem de Klerk, nel febbraio 1990 Mandela viene liberato. È il primo passo verso il cambiamento: nel 1991 viene abolita la legislazione razziale e nel 1994 si svolgono le prime elezioni libere, al termine delle quali Mandela diviene il primo presidente di colore nella storia del paese.