1968
Un pugno alla storia
Il 1968 è un anno pieno di tensioni: il 4 aprile viene ucciso Martin Luther King, il 6 giugno Bob Kennedy, i carri armati sovietici avanzano a Praga, l’America e l’Europa sono travolte dalle proteste dei movimenti operai, delle organizzazioni studentesche e dei movimenti antirazzisti. A segnare i giorni che precedono la diciannovesima edizione delle Olimpiadi, svoltasi in Messico dal 12 al 27 ottobre 1968, sono i drammatici eventi di Piazza delle Tre culture a Città del Messico. Un gruppo di studenti manifesta pacificamente contro le spese sostenute dal presidente Gustavo Diaz Ordaz per la realizzazione delle infrastrutture destinate ai giochi. Il governo ordina una repressione feroce. La polizia spara sulla folla, il bilancio ufficiale parla di cinquanta morti, ma la stima è di circa 400 vittime. Il massacro segna il culmine della tensione tra governo e studenti, che vogliono sfruttare l’attenzione dei media sul Messico in occasione delle Olimpiadi al fine di chiedere riforme profonde nella società. Il Comitato Olimpico (CIO), presieduto dall’americano Avery Brundage, decide che lo spettacolo deve andare avanti nell’ottica di una separazione tra sport e politica. Nei fatti proprio questa edizione dei giochi olimpici è destinata a restare nella memoria grazie ad un gesto pacifico, ma clamoroso. Tutto si compie dopo la finale dei duecento metri piani maschili disputata tra il 15 e il 16 ottobre. I velocisti americani Tommie Smith e John Carlos, rispettivamente medaglia d’oro e medaglia di bronzo, durante la cerimonia di premiazione mettono in atto una serie di gesti simbolici. Si presentano sul podio scalzi in segno di povertà, con uno stemma al petto per sostenere il Progetto Olimpico per i Diritti Umani, nella mano destra Smith ha un ramoscello di ulivo. Tengono basso lo sguardo e alzano il pugno guantato di nero. È il simbolo delle Pantere Nere, movimento politico radicale a difesa dei neri americani. La prima grande protesta mediatica del mondo dello sport non passa certamente inosservata e le immagini fanno il giro del mondo. Il gesto desta grande scalpore: il presidente del CIO decide di sospendere i due atleti dalla squadra statunitense con espulsione immediata dal villaggio olimpico. La storia si ripete nei giorni successivi quando i quattrocentisti Evans, James e Freeman salgono sul podio indossando un basco nero. Per Smith e Carlos il rientro in patria non ha le caratteristiche trionfali della vittoria, perdono lavoro e vantaggi economici. Resta però nell’immaginario collettivo un gesto entrato nella storia come uno dei simboli del Novecento. Nel 2005, l’Università di San Jose (California), dalla quale provenivano i due atleti, ha eretto un monumento per ricordare il gesto rivoluzionario.