1974

La scoperta di Lucy

Una nuova concezione dell’evoluzione umana

L’influenza dei Beatles è stata davvero multiforme, come ricorda un avvenimento che con la musica ha a che fare solo per via indiretta. Siamo nel novembre 1974 nella regione desertica dell’Afar, in Etiopia. Due paleoantropologi americani, Donald Johanson e Tom Gray, si imbattono in un gruppo di ossa (ben 52!), che inizialmente credono appartenere a più individui, ma che ben presto capiscono far parte di un unico scheletro: un ominide bipede, appartenente alla specie Australopithecus afarensis e risalente a oltre tre milioni di anni fa. La conformazione del bacino non lascia dubbi: si tratta di una donna, alta circa 120 cm e con un peso di 40 chili. Bisogna trovarle un nome. All’inizio si pensa a una classificazione convenzionale, del tipo AL 288, abbreviazione di Afar Locality 288. Poi però i due scienziati cambiano idea: visto che una delle canzoni più ascoltate dal gruppo di ricerca che coordinano è Lucy in the Sky with Diamonds del gruppo di Liverpool, assegnano all’ominide proprio il nome di Lucy. Il rinvenimento dei resti di questo australopiteco si rivela una delle maggiori scoperte paleoantropologiche della storia, segnando un deciso avanzamento delle ricerche sull’evoluzione umana. È in fondo anche grazie a Lucy, infatti, che è stata gradualmente abbandonata, seppur a fatica e con molte resistenze, l’idea di un’evoluzione dell’uomo in forma lineare a favore di un’evoluzione cosiddetta “a cespuglio”, ramificata, complessa e molto intricata.

Approfondimenti