1945

Roma città aperta

Il 24 settembre 1945 esce Roma città aperta di Roberto Rossellini con la sua prima proiezione pubblica al Festival del Quirino a Roma. La pellicola segna l’inizio del neorealismo cinematografico italiano (termine coniato dopo il 1946 per identificare quel cinema italiano che vuole portare sullo schermo l’Italia appena uscita dalla guerra). Costituisce il primo film della cosiddetta Trilogia antifascista di Rossellini, a cui seguono Paisà (1946) e Germania anno zero (1948). Numerosi personaggi rappresentati nel film sono ispirati a persone reali vissute nel periodo dell’occupazione nazista di Roma (8 settembre 1943 – 4 giugno 1944).  Il personaggio di don Pietro Pellegrini, interpretato da Aldo Fabrizi, è modellato sulle figure di don Pietro Pappagallo e don Giuseppe Morosini, due preti resistenti uccisi dai nazifascisti. Il personaggio di Pina (Anna Magnani) è ispirato a Teresa Gullace, uccisa a Roma da un soldato tedesco il 3 marzo del 1944 mentre protesta per l’arresto del marito. In Giorgio Manfredi, interpretato da Marcello Pagliero, si possono ritrovare i connotati di Celeste Nagarville antifascista ed esponente molto importante del Partito comunista italiano (lo stesso Nagarville è tra gli sceneggiatori insieme a Federico Fellini e Sergio Amidei). Le storie dei protagonisti del film sono intrecciate magistralmente in un’unica storia e inseriti in scenari popolari e di gente comune, così da creare una simbiosi tra cinema e realtà. Rossellini mescola il realismo con il melodramma attraverso il racconto drammatico di un ordine sociale crollato e un Paese in procinto di cambiare. Entra nell’immaginario collettivo l’iconica scena di Anna Magnani (Pina) uccisa dai tedeschi sotto gli occhi del figlio mentre corre dietro al camion in cui è stato portato via il suo promesso sposo. Subito dopo, il corpo inerme, fra le braccia di don Pietro, è una potentissima rievocazione della Pietà di Michelangelo. Roma città aperta è un film ricco di significato storico e di tecnica cinematografica. Non ha un lieto fine. È l’immediato ritratto violento di una città e di un Paese che deve confrontarsi con il dramma della Seconda guerra mondiale raccontato con la storia di personaggi realmente vissuti. Il regista inizia a girare già due mesi dopo la liberazione della città e tutto il film è permeato dalla volontà e dall'urgenza che quanto accaduto durante la guerra non venga sommerso da un tranquillizzante oblio. Il titolo si rifà all’espressione “città aperta” che si riferisce all’articolo 25 della Convenzione dell’Aja del 1907 relativa agli usi e costumi della guerra terrestre che sancisce «il divieto di attaccare e bombardare con qualsiasi mezzo le città indifese». Lo status viene attribuito anche tenendo conto del particolare interesse storico-artistico della città: Roma ha tutte queste caratteristiche e viene dichiarata “città aperta” dalle autorità italiane il 14 agosto del 1943, ma mai riconosciuta tale dai tedeschi, che invece ne approfittano per reprimere duramente la popolazione.