1926

L’illusione di poter votare

Il fascismo e il voto amministrativo alle donne

 

È il 4 aprile 1926 quando il Municipio di Modena espone il manifesto che pubblicizza la costituzione di liste elettorali amministrative femminili sulla base della legge 2125 del 22 novembre 1925. La legge prevede il voto amministrativo per le donne che ne abbiano fatto richiesta a patto che abbiano compiuto il 25° anno d’età, che abbiano conseguito la licenza elementare, esercitino la patria potestà e paghino le tasse oltre un certo reddito. Possono accedere al voto anche le decorate al valor militare e civile e le madri o le vedove dei caduti in guerra. 

Le italiane chiedevano di poter votare dal 1877 quando Anna Maria Mozzoni, con una petizione data alla stampa, chiede il voto politico alle donne. Lo Stato unitario le aveva infatti escluso dai diritti civili e politici adottando il principio della loro incapacità giuridica, già presente nella legislazione sabauda, e prevedendo l’autorizzazione maritale. 

Su azione delle associazioni pro-suffragio che si costituiscono dagli inizi del Novecento, più volte nel Parlamento liberale si discute di una riforma delle legge elettorale, ma in ogni occasione si ribadisce che il voto deve rimanere una prerogativa esclusivamente maschile. Anche nel 1912, in occasione della legge che approva il suffragio universale maschile, la Camera respinge la concessione del voto alle donne (209 voti contrari, 48 a favore e 6 astenuti).

Nel 1919, anche a seguito del ruolo assunto dalle donne durante la Prima guerra mondiale e dell’abolizione dell’autorizzazione maritale, la Camera esamina una nuova proposta di legge elettorale per il voto politico e amministrativo alle donne, che però resta bloccata per la questione di Fiume. 

Dopo la marcia su Roma  dell’ottobre 1922, Mussolini, intervenendo nel 1923 al Congresso dell’Alleanza pro–suffragio, promette che le donne sarebbero state ammesse al voto amministrativo e così viene legiferato due anni dopo. 

La legge 2125 del 1925 di fatto non entra mai in vigore perché il fascismo, l’anno successivo, con le Leggi eccezionali, mette al bando i partiti e le associazioni, abolisce le elezioni amministrative e istituisce i Podestà di nomina prefettizia.

L’abolizione degli organismi rappresentativi locali chiude ogni discussione sui diritti politici, non solo femminili.